Neuroelectrics e il sogno (realizzato) di Ana Maiques: curare epilessia e depressione senza farmaci né chirurgia

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Curare la depressione e l’epilessia senza farmaci, interventi chirurgici o terapie invasive grazie alla nuova tecnologia di Neuroelectrics. Un sogno che presto potrebbe diventare realtà, grazie all’intuizione che vent’anni fa un matematico e fisico italiano, Giulio Ruffini, ebbe osservando due elettroencefalogrammi a confronto: uno apparteneva a un alcolista cronico, l’altro a un soggetto normale. Lo scorso novembre Neuroelectrics, l’azienda che Ruffini ha fondato nel 2011 insieme alla moglie Ana Maiques, ha ricevuto da un investitore privato statunitense 18 milioni di euro per svolgere due trial clinici su epilessia e depressione. Obiettivo: ottenere la validazione della terapia da parte della Food&Drugs Administration, rendendola prescrivibile da psichiatri, neurologi e medici in generale. Attualmente i trial per l’epilessia hanno coinvolto 20 pazienti con l’obiettivo di arrivare a 190, per la depressione la sperimentazione è partita su 50 soggetti con l’obiettivo di arrivare a 300. “I criteri di inclusione sono stringenti, e abbiamo anche naturalmente modalità di somministrare una terapia “placebo” con l’obiettivo di verificare se il miglioramento sia da addebitare al funzionamento della terapia o all’autosuggestione o a qualche altro elemento” spiega Maiques.

Ana Maiques, founder di Neurelectrics, mostra il device che monitora l’attività cerebrale in tempo reale. (Foto: Silvia Fabbi)

“L’intuizione di usare micro correnti di energia elettrica continua o alternata – noi la chiamiamo neuromodulazione – risale addirittura agli egizi e agli antichi romani” spiega Ana Maiques, che al Web Summit è stata keynote speaker dal palco principale dell’Altice Arena di Lisbona. E’ qui che Innovation Nation l’ha incontrata e intervistata, facendosi raccontare il sogno ormai vicino di un futuro senza farmaci antidepressivi e senza interventi di rimozione di zone cerebrali per i casi di epilessia focale.

E’ proprio a partire dalla profonda conoscenza del funzionamento del cervello – una macchina al cui interno segnali chimici ed elettrici viaggiano a 270 miglia l’ora fra gli 86 miliardi di cellule che lo compongono – che Neuroelectrics ha sviluppato una terapia non invasiva, capace di indurre modifiche stabili nel cervello, semplicemente sfruttando quello che I neuroscienziati chiamano il principio di Hebb: i neuroni che “scaricano” nello stesso momento – perché attivati dallo stesso stimolo alla stessa reazione – si collegano fra loro a lungo termine, sviluppando sinapsi o modificando la propria struttura realizzando quella che conosciamo come neuroplasticità.

Esempio di come uno stimolo esterno, modificando l’attività neuronale, ne modifichi anche l’organizzazione (Foto: E. Kandel, Principles of Neural Sciences, 5th edition, McGraw-Hill)

Neuroelectrics presenta vantaggi significativi rispetto alle tecnologie già in uso per le stesse funzioni: è 10 volte meno impattante della TMS – Transcranial Magnetic Stimulation e rispetto ad essa il device utilizzato è portatile e molto più agile da utilizzare. Rispetto al neurofeedback – che viene attualmente utilizzato in casi di depressione, disturbi dell’attenzione e anche nell’autismo – in cui si insegna ai pazienti ad “auto-allenare” il proprio cervello a reagire in un certo modo, ossia a produrre volontariamente un certo tipo di onde cerebrali grazie alla visione continua della propria attività ceebrale tramite EEG, il sistema di Neuroelectrics non richiede alcuno sforzo da parte del paziente, solo una lieve sensazione di prurito alla testa nel punto dove la scarica elettrica viene rilasciata. In pratica, se il neurofeedback equivale all’andare in palestra, la neuromodulazione equivale all’elettrostimolazione muscolare. “E i risultati sono duraturi, esattamente come quelli del neurofeedback” spiega Maiques. I dati sono incoraggianti. “Con 20 minuti al giorno di stimolazione per 10 giorni siamo in grado di ridurre gli attacchi epilettici del 50%” spiega Maiques.

Il funzionamento del neurofeedback (Foto: Wikipedia)

Il metodo utilizzato prevede in primo luogo la creazione di un “gemello digitale” tridimensionale del cervello del paziente, a partire dai dati di risonanza magnetica e di elettroencefalogramma. “Questo perché ogni cervello è biofisicamente (ossia sono diversi il tipo e il funzionamento delle cellule che lo compongono, nonché le connessioni che gli consentono di funzionare, n.d.r.) ed elettrofisiologiamente (come funziona la trasmissione del segnale al proprio interno, l’intensità delle onde cerebrali, quali frequenze corrispondono a un certo tipo di funzione nel cervello, n.d.r.) diverso” spiega Ana Maiques. Alcune funzioni – come il linguaggio, la capacità di suonare uno strumento musicale o il calcolo matematico – possono infatti svolgersi in zone cerebrali localizzate in luoghi simili ma leggermente o anche molto diversi, ma anche le modalità di funzionamento possono essere diverse: ad esempio il cervello del genio Albert Einstein è risultato essere più piccolo della media. Tuttavia il suo modo di funzionare sembra fosse molto più efficiente del cervello medio, al punto che durante complessi calcoli matematici l’attività registrata corrispondeva a onde alpha, ossia quelle che ciascuno di noi emette nella fase di pre-addormentamento, quando i nostri occhi sono chiusi e non stiamo pensando a nulla in particolare.

La scannerizzazione delle fibre bianche (assoni) che creano il cosiddetto connettoma umano. (Foto: humanconnectomeproject.org)

Ciò che tutti abbiamo in comune sono però i meccanismi di funzionamento, allo stesso modo in cui tutte le auto a benzina usano un motore a scoppio per funzionare, ma il funzionamento del motore può essere più o meno efficiente. Il “motore cerebrale umano” funziona grazie alla trasmissione pre e post sinaptica di segnali elettrici e biochimici in risposta ad uno stimolo. Sfruttando questa conoscenza Neuroelectrics può simulare l’attività naturale del cervello, inducendo o inibendo attività con l’effetto di modificare a lungo termine non solo i nostri comportamenti ma anche i nostri pensieri. “Teniamo da un lato in conto l’individualità del paziente grazie al suo modello digitale completamente anonimizzato, ma usiamo anche sistemi di intelligenza artificiale per plasmare la terapia in modo da renderla il più personale e perciò efficace possibile. Sempre tenendo in primo piano l’etica, perciò seguiamo rigidi protocolli di validazione medica, al contrario di molte iniziative analoghe che immettono sul mercato tecnologie non validate” conclude Maiques. Fornendo i propri devices agli enti di ricerca Neuroelectrics si è sviluppata secondo un metodo di bootstrapping, raccogliendo sinora 5 milioni di dollari per continuare le ricerche e insieme ottenendo dati importanti sulla base dei quali continuare a sviluppare sempre meglio la tecnologia.

 

 

di Silvia Fabbi

Ti potrebbe interessare