Nel cuore del Gran Sasso: là, nel ventre del monte, dove osservare è un'arte

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Per capire in cosa consista l’attività di ricerca, diceva Einstein, non serve filosofeggiare, piuttosto è necessario conoscere da vicino il lavoro di chi è coinvolto in prima persona. I recenti risultati di due esperimenti dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS), uno dei centri più importanti al mondo per la ricerca in fisica delle particelle e per la caccia ai neutrini, le più leggere ed elusive di tutto lo “zoo” di particelle che popolano il mondo subatomico, si prestano bene a illuminare aspetti profondi lavoro dello scienziato e di ciò che rende così particolare il suo lavoro. Gli esperimenti svolti al Gran Sasso in questione sono Xenon1T, che indaga la natura della materia oscura, e BOREXino, il cui scopo primario è lo studio delle proprietà di neutrini solari a bassa energia.

Nascosti nel Gran Sasso della montagna per osservare le stelle e l’Universo

Il luogo in cui si conducono questi esperimenti ha qualcosa di magico. Nel 1979, mentre lo Stato italiano dava il via alla realizzazione del lungo tunnel (10 Km) che passa sotto la cima più alta di tutti gli Appennini, l’allora presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), Antonino Zichichi, propose di sfruttare questa opportunità e scavare dentro la montagna i padiglioni di quello che oggi è il complesso dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Lo Stato diede l’assenso, creando così uno dei più importanti luoghi al mondo per la ricerca subnucleare e la fisica teorica. I tre grandi padiglioni, lunghi 100 metri, alti 18 e larghi 20, sono un unicum: non esiste al mondo un laboratorio sotterraneo così grande per dimensioni e per varietà di esperimenti. Gli esperimenti ospitati nei tunnel si trovano sotto uno strato di ben 1400 metri di roccia, tanta è la distanza che li separa dalla cima della montagna.

Il motivo per cui si decide -al Gran Sasso come in altre parti del mondo- di posizionare delicati esperimenti di fisica in uno “scrigno” di roccia così spesso è molto semplice: ogni giorno dall’Universo arrivano innumerevoli particelle sulla Terra -i raggi cosmici, alla cui scoperta l’italiano Giuseppe Occhialini diede un contributo determinante- le quali, scontrandosi con i nuclei delle molecole dell’atmosfera, generano dei processi a cascata responsabili della creazione di altre particelle e radiazione ad alta energia. Tutta questa radioattività diffusa non è pericolosa per la vita, ma è fastidiosissima nel momento in cui si devono fare delle rilevazioni subatomiche, perché il rumore di fondo generato dai raggi cosmici non permette di distinguere le particelle meno energetiche. La roccia, invece, assorbe particelle e radiazioni che arrivano dal cielo, permettendo di “pulire” il campo di osservazione e di rilevare senza errori le particelle che arrivano dallo spazio e non interagiscono né con l’atmosfera né tantomeno con la roccia, in particolare il neutrino, una strana particella che non interagisce praticamente mai con nulla e non possiede carica elettrica. Il Modello Standard, la costruzione teorica che cerca di dare una spiegazione della struttura della materia a livello subnucleare, prevede che l’universo stesso sia pieno di queste elusive particelle che attraversano tutto, spazio vuoto e corpi celesti; anche il nostro corpo è attraversato da miliardi di neutrini ogni istante. Fino a qualche anno fa si avevano dubbi perfino sul fatto che i neutrini avessero massa. Oggi si sa che la massa, seppur molto piccola, è una loro dotazione: un neutrino ha una massa da 100.000 a un milione di volte inferiore a quella di un elettrone, il quale è circa 2000 volte più leggero di un protone.

I neutrini si formano nei decadimenti di particelle, particolari fenomeni nei quali avviene la trasformazione di una particella in un’altra e la contestuale emissione di un neutrino. I decadimenti avvengono spontaneamente dopo periodi più o meno lunghi, per alcune particelle miliardi di anni, per altre più instabili bastano tempi infinitesimali.

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Le stelle producono neutrini, grazie alla loro fonte di energia, la fusione nucleare, che le fa splendere per tutta la loro vita fino all’esaurimento del combustibile e alla conseguente loro catastrofica fine. Durante la fusione nucleare nuclei più leggeri si uniscono in nuclei più pesanti liberando grande quantità di energia e nei passaggi che portano dai nuclei reagenti al prodotto finale avvengono decadimenti con emissione di neutrini. Da quasi un secolo la fisica ha definito i cicli di fusione nucleari interne ai nuclei delle stelle, riuscendo a creare un modello che rende conto delle loro caratteristiche e del loro sviluppo nel tempo. I cicli sono successioni di reazioni fra nuclei atomici differenti fino a un elemento più stabile: se ne possono instaurare diversi a seconda degli elementi e delle energie in gioco. Ciò che è interessante per un cacciatore di neutrini è che a ogni ciclo si associa sempre l’emissione di neutrini di un certo tipo e con un certo rate. Se da un lato si sa con certezza che la fusione nucleare dà energia alle stelle, non per tutte le catene però si è trovata la prova certa, vale a dire la presenza dei neutrini ad esse associati. Studiare i neutrini dunque serve a studiare le stelle, ma non solo, perché i neutrini sono anche i candidati principali come Materia oscura, quella parte di materia che costituisce l’universo e che sfugge alla nostra vista. Gli oggetti visibili, infatti, come stelle, nebulose, pianeti, asteroidi, costituiscono solo una piccola percentuale della massa totale dell’universo. La materia mancante, o “oscura”, costituisce gran parte della materia del cosmo, circa l’85%, ma risulta invisibile e non interagente con la materia visibile. La caccia ai costituenti della materia oscura è uno dei focus di ricerca principali al Gran Sasso.

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Molti esperimenti ospitati ai LNGS sono realizzati a partire dal fatto che i neutrini non interagiscono quasi mai con la materia ordinaria: i ricercatori devono avere un “cannocchiale” che permetta di rilevare le poche volte che un neutrino interagisce con i nuclei atomici di qualche sostanza e dove effettivamente questo avvenga. Per questo gli esperimenti in molti casi sono vasche di liquidi purissimi e con percentuali isotopiche controllate o agglomerati di materia solida di composizione super-controllata. Queste grandi vasche o parallelepipedi riescono a segnalare il loro attraversamento da parte dei neutrini grazie a numerose serie di rilevatori sensibilissimi, realizzati apposta e con caratteristiche assolutamente uniche. In alcuni esperimenti è poi necessario creare il freddo, fino a temperature più basse dello spazio intergalattico.

Xenon1T e Borexino. Due risultati a confronto: il bello della scienza

A metà giugno il gruppo che lavora sull’esperimento Xenon1T, l’esperimento di ricerca di materia oscura più sensibile al mondo, ha annunciato i risultati di circa un anno di osservazione. Il punto caldo del loro lavoro è la registrazione di un eccesso di eventi misurati di cui non riescono con certezza a dare spiegazione. La misura potrebbe essere legata a un problema di contaminazione dello Xeno liquido usato nell’esperimento o potrebbe portare alla scoperta di particelle per ora solo ipotizzate e fuori dal Modello Standard: i cosiddetti assioni, particelle del tutto ipotetiche che possono viaggiare a velocità maggiori di quella della luce. Una terza spiegazione potrebbe comportare la rivalutazione di una caratteristica dei neutrini -l’intensità del loro momento magnetico- e quindi spingere a una revisione del Modello Standard. Proprio queste ipotesi di revisione del Modello Standard hanno fatto sì che molti giornali e media di tutto il mondo abbiano dato molto risalto a questa scoperta. Eppure siamo ancora nel campo delle ipotesi, che potrebbero essere smontate se si provasse che il segnale arriva da qualche impurità presente nel setup sperimentale.

A distanza di pochi giorni, il gruppo dell’esperimento BOREXino ha comunicato con certezza la misura di un eccesso di neutrini prodotti dal Sole. Tale misura consente finalmente di confermare la presenza del ciclo Carbonio Azoto Ossigeno (C-N-O). Per le stelle come il Sole questa catena è marginale (circa il 2% della sua energia è prodotta in questo modo), ma per le stelle più grandi è la fonte di energia principale. Fatto curioso, il risultato di BOREXino è passato pressoché in sordina sui media, eppure si tratta della prima conferma osservativa dell’esistenza del ciclo C-N-O dopo la previsione teorica della sua esistenza da parte di Hans Beethe nel 1938 (!).

gran sasso

Un momento dell’esperimento Xenon1T

Un’arte molto difficile

Torniamo a Einstein e al suo suggerimento iniziale. Un dato è evidente: la ricerca è un’attività molto faticosa, che richiede grande fantasia, come infilarsi nel cuore della montagna per guardare lo spazio profondo, grande pazienza, come l’attesa di più di 80 anni per la conferma dell’ipotesi di Beethe, e necessita di grandi investimenti e molta manodopera. Ma forse ci si può spingere oltre. C’è qualcosa che questi scienziati insegnano a tutti, al di là dei contenuti più o meno esotici di cui sono esperti. È un particolare lavoro su di sé, che li obbliga a stare in profonda connessione con i dati della realtà, dati che vanno investigati con determinazione straordinaria e cura maniacale. Agli scienziati non bastano le idee, fossero pure geniali: servono le conferme, serve un accordo con le misure sperimentali. E questo accordo si raggiunge non perché si “forza” il reale, ma perché in qualche modo gli si obbedisce. Il cuore del lavoro dello scienziato è l’osservazione, l’attività umile e tesa dell’esploratore, che mentre lo guarda interroga l’orizzonte. È un’attività molto impegnativa. Come diceva il Nobel Richard Feynman “stare a guardare è un’arte, e anche molto difficile”. Ed è proprio questa arte il punto di partenza per nuove scoperte.

Nicola Sabatini

 

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