Banda ultralarga, verso la rete unica tra Cdp e Tim

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Diffondere la banda ultralarga su tutto il territorio nazionale, che naviga ancora troppo piano. È il progetto di Cassa depositi e prestiti e Tim, che uniscono le forze per dare “un’accelerata” al Paese. L’accordo, siglato lunedì 31 agosto, è soltanto il primo passaggio. Le due società si sono state come scadenza marzo 2021 per arrivare al closing, formando così la società per la rete unica nazionale. Prima FiberCop, per diventare in seguito AccessCo.

Tim detiene la maggioranza (58%), mentre Fastweb il 4,5%. Nella nuova creatura è entrato anche il fondo americano Kkr Infrastructure, ottenendo il 37,5% di quote. Nei piani di Cdp e Tim è stato fissato il 2025 come anno termine per coprire il 76% delle unità immobiliari delle aree più svantaggiate con la banda larga. Come si legge sul sito di Cassa depositi e prestiti «il progetto punta alla nascita di AccessCo, società aperta anche ad altri investitori e destinata a gestire la rete unica nazionale. AccessCo verrà costituita mediante la fusione di FiberCop, società comprensiva della rete di accesso primaria e secondaria di Tim, e di Open Fiber, società dedicata alla fibra ottica e partecipata da Cdp e Enel».

Oggi solo il 20% del Paese naviga con banda ultralarga

Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, ad oggi solo il 20,3% del Paese naviga con banda ultralarga ad almeno 100 megabit per secondo (Mbps) e il 66,6% ad almeno 30 Mbps. Trattandosi di un terreno dove le regole sono comunque quelle del profitto e del business, a non tutti gli attori telco conviene investire nei territori più periferici. Ecco perché il pubblico ha deciso da tempo di dotarsi di una società – Infratel, interna al Mise – che colmi il divario nelle zone bianche e grigie, investendo dove nessuno investe.

La fibra arriverà direttamente in casa

Per capire l’importanza di FiberCop, bisogna parlare proprio della rete secondaria di Tim. Si tratta di quella che, in poche parole, porta la connessione dagli armadietti in strada fino alle abitazioni. Durante il lockdown il tema della solidità dell’infrastruttura che regge internet è stato tra i più accesi. La didattica a distanza e lo smart working – o, meglio, home working – hanno raggiunto picchi record. Se è vero che in pochi hanno ceduto al panico, temendo un black-out per i troppi byte, d’altra parte i ritardi italiani sul digitale sono emersi più gravi che mai (un esempio su tutti: non tutti gli studenti avevano connessione adeguata per accedere alle lezioni online). In attesa di capire quali saranno dunque i prossimi passaggi, il ministro dell’Innovazione, Paola Pisano, ha intanto lanciato la proposta di rendere obbligatoria l’educazione digitale a scuola.

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